due parole sulla sezione

merita un'occhio di attenzione la sezione principe dell'Area Tematica Divulgazione Culturale, MUSICAeQUANT'ALTRO se non per altro che, la stessa è tenuta da quello che viene considerato il guru della musica, soprattutto ed indiscutibilmente di quella proveniente dal continente Africano.
La dicitura "e quant'altro" non è stata inserita a caso. In questa Sezione non verrà trattata solo la melodia ma tutto quello che la attornia, che nasce e si sviluppa da essa.
un grazie a Tancio
il presidente di LANDSgate
M@rino

In questa sezione, oltre all'accurata selezione dei Partner che collaborano con noi, se vorrai, come Associato potrai anche partecipare direttamente alla stesura di pezzi utili alla divulgazione culturale.

lunedì 9 novembre 2009

MUSICA: Mali - Tradizione del suono: di Marino Nebuloni

La multietnicità del Mali si riflette anche nel patrimonio musicale, dato da un differente uso di strumenti, dalle diverse tonalità sonore e dalle composizioni che rispecchiano le singole tradizioni. La musica ritma le differenti stagioni dell’essere umano, accompagnandolo nelle molteplici situazioni che incontra dalla nascita alla morte. Il Matrimonio, il raccolto, le cerimonie, l’allevamento, la caccia, la pesca, le transumanze, tutto è raccontato ed accompagnato da melodie che si incuneano nella vita dell’uomo africano. Anche se l’approccio è differente a seconda dell’appartenenza etnica, la musica ne permea l’esistenza. Canti ritmati da un semplice tamburellare di dita sulle calebasses ed accompagnati da strumenti monocorde o rudimentali flauti fino ad elaborate composizioni create con l’ausilio di strumentazione varia ed evoluta.
Troviamo così le melodie solitarie dei Peulh, popolo nomade, che servono ad allontanare la solitudine. La coralità Bambarà. I Bobo, che seguono i ritmi frenetici delle coreografie con l’uso di strumenti a percussione, Tamburi e “Balafon”. Fischietti e campanacci che fanno da sfondo alle cerimonie funebri impersonate dalle maschere Dogon. Il ritmo ipnotico del “imzad”, il violino monocorda tra i Songhai ed i Bellàh che iniziano riti nella brousse o nella tradizione “tamasheq dei Touareg,”, quando accolgono i geni dell’acqua. La cosa diviene artisticamente più sofisticata con
l’ingresso dei “griot”, i cantastorie, che accompagnano il loro canto al suono della “korà”. I suonatori creano sonorità energiche, ricche di vibrazioni avvolgenti o intimiste, a seconda che si tratti di cerimonie festose o riti sacri.
Individuare l’esatta origine dell’uso di alcuni strumenti non è così semplice. La colonizzazione e la successiva nascita degli stati-nazione africani, hanno alterato gli originari confini territoriali, rendendo difficile stabilire la loro precisa localizzazione, inoltre, molti racconti orali lasciano supporre che, in tempi remoti, solo ad una minoranza di “iniziati” fosse permesso di apprendere l’arte del suono. Se a questo detto, sommiamo il fatto che alcuni strumenti, cambiano denominazione a seconda del villaggi in cui vengono usati, la loro origine si complica. Accontentiamoci dunque di sapere che alcuni di questi esistono e sono stati utilizzati magistralmente da etnie che successivamente hanno sviluppato, grazie al loro uso, una sensibilità ritmica ed artistica di elevata fattezza.
A tal proposito, raggruppando gli strumenti in tre categorie differenti, potremo dare uno sguardo alla panoramica strumentale utilizzata non solo in Mali ma nell’Africa Nera.
I Membranofoni sono tutti i tipi di tamburi (cilindrici, tronco conici, a botte, a calice, a clessidra ecc.) e si basano sulla messa in vibrazione per frizione, percussione, pizzico o pressione di membrane soggette a tensione mediante tiranti. Tali membrane sono in gran parte costituite da pelli animali. Prendono nomi diversi a seconda delle forme e delle zone:
il Djembè ha una struttura che ha forma di calice, sull’imbocco maggiore è tesa una pelle. Il Bwa, strumento ascellare a forma di clessidra, con due pelli tese sugli imbocchi alle due estremità, il cui suono, modulato dall’ascella stessa del musicista, è ottenuto mediante un bastone ricurvo. Il Bala-Bala, usato da Bobo, Senufo e Bambara, la cui cassa armonica non è altro che una grossa mezza zucca vuota (Calebasse). L’atumpan è un tamburo Ashanti. Il darabukka è un tamburo arabo a calice. ll dundun è un tamburo a clessidra di origine Nigeriana. Il sabar è un tamburo a calice monopelle originario del Wolof del Senegal. Il dundun, anche se non molto usato nel Mali, merita un approfondimento. Viene chiamato Il tamburo parlante ed è usato prevalentemente dai “griot”. Il suonatore tiene il tamburo sulla spalla e lo colpisce con una singola bacchetta, usando l'altra mano per agire sulle corde che tengono tesa la membrana, pizzicandole o lasciandole per modificare il tono prodotto dallo strumento. I musicisti più abili riescono a produrre modulazioni che ricordano quelle della voce umana, specialmente con riferimento ai linguaggi tonali di alcune zone dell'Africa. alcuni musicisti hanno raffinato questa tecnica al punto che con il tamburo riescono a riprodurre frasi e nomi di persone Il djembé, la cui tipica forma a calice è ottenuta intagliando un pezzo unico di legno, ricavato dagli alberi di tek. Una volta montata, la membrana in pelle (generalmente di capra o antilope) viene lasciata essiccare, in modo da aumentarne la tensione per ottenere i suoni voluti dal djembéfola (il suonatore di djembé). Sempre più spesso, ai bordi della parte superiore, vengono applicate appendici metalliche, di ferro o latta, le cui vibrazioni rinforzano e prolungano il suono del djembé, creando un particolare stile poliritmico.
I cordofoni producono il suono per la messa in vibrazione di una o più corde tese tra due punti fissi. Il più semplice è l'arco sonoro (ekibulenge per i Nande del Congo-Zaire), derivato direttamente dall'arco con il quale comunemente si scagliano le frecce. Le corde possono essere
sfregate con un archetto, pizzicate, premute o percosse. I cordofoni comprendono arpe
(enanga), cetre (o arpe-cetre come il mvet del Gabon e del Camerun), lire e liuti.
La kora, è lo strumento principale dei cantastorie (griot) della cultura Mandingo (Senegal, Mali, Guinea, Gambia): la cassa di risonanza è ricavata da una mezza zucca svuotata sulla quale è tesa una pelle di animale (mucca o antilope). Sulla cassa è infisso un manico in legno da cui dipartono ben 21 corde in due file parallele rispettivamente di 10 ed 11 corde, rette da un ponticello perpendicolare al piano armonico. Le corde erano tradizionalmente fatte di cuoio, per esempio di pelle d'antilope; oggi sono molto usate anche le corde d'arpa o il filo di nylon. Talvolta, fili di iversi materiali vengono avvolti assieme per formare una corda più spessa con un timbro specifico.
Strumento musicale del gruppo dei cordofoni, della famiglia delle arpe a ponte è praticamente considerata un'arpa-liuto. È uno strumento tradizionale dell'etnia Mandinka, diffusa in buona parte dell'Africa Occidentale.
Alcune kora moderne (in particolare costruite nella regione di Casamance, nel Senegal meridionale) hanno alcune corde aggiuntive (fino a quattro) dedicate ai bassi. Esistono anche varianti di kora a 23, 25, 27 fino ad un massimo di 28 corde. Le corde sono legate al manico da anelli di pelle; spostando tali anelli si può variare l'accordatura dello strumento. La tradizione
prevede quattro diverse accordature, dette tomora ba (o sila ba), hardino, sauta e tomora mesengo; corrispondono grosso modo alla scala maggiore, alla scala minore, alla scala lidia e alla scala blues. La tipologia di accordatura a cui si ricorre dipende perciò dal brano che si vuole eseguire. Sebbene il suono di una kora sia molto simile a quello di un’arpa, le tecniche utilizzate per suonarla sono molto più simili a quelle impiegate per la chitarra del flamenco. L’esecutore suona lo strumento ponendolo davanti a sé, sorreggendolo con le due dita medie che fanno presa su due sporgenze di legno. Le corde vengono pizzicate con l’indice e l pollice di entrambe le mani, la fila di 11 con la mano sinistra, quella di 10 con la destra. I suonatori molto esperti sono capaci d eseguire contemporaneamente un accompagnamento (detto kumbeng) e un assolo improvvisato (chiamato biriminting). La kora è diffusa presso tutti i popoli Mandinka dell'Africa occidentale; la si trova in Mali, Guinea, Senegal e Gambia. Il suonatore di kora viene detto jali; in genere appartiene a una famiglia di griot, ovvero di cantastorie. Così come il griot gode di un grande rispetto presso i popoli Mandinka (quale detentore della conoscenza sulle tradizioni, le gesta degli antenati, gli alberi genealogici dei clan, ovvero dell'intera tradizionale orale del popolo), nalogamente quello di "jali" è considerato un titolo onorifico molto importante.Esistono diversi
racconti orali che narrano l’invenzione e la storia di questo particolarissimo strumento
musicale: nell’area dell’antico Regno del Mali, si narra che la Kora fu inventata da un grande capo dei guerrieri, Tira Maghan che l’avrebbe donata ai griots del suo villaggio; da quel momento essa sarebbe divenuta lo strumento privilegiato dei griots che ne avrebbero scoperto tutte le sfaccettature e le possibilità sonore al fine di rendere al meglio il prezioso dono ricevuto dal loro signore. Secondo una variante dello stesso mito, diffusa in Gambia, nella regione del Kansala la prima Kora sarebbe appartenuta ad una donna particolarmente ingegnosa e creativa, robabilmente una griotte.
Negli idiofoni viene messo in vibrazione il materiale stesso con cui lo strumento è costruito
(per esempio, legno o metallo). Possono essere sollecitati per sfregamento, percussione, pizzico,
pressione, frizione, raschiamento. I più noti idiofoni sono; i sanza o ‘mbira, costituiti da
lamelle metalliche o vegetali, il Balafon, xilofono tipico dell’Africa occidentale, i Grageb, campane
e sonagli per gli Gnawa del Marocco e shaqshaq in Algeria.
Il Balafon è uno strumento musicale caratteristico dell'Africa Occidentale subsahariana:
si tratta di uno xilofono generalmente pentatonico, a volte diatonico. I popoli Susu e Malinké della, sono strettamente legati alla storia ed all'uso di questo strumento, così come il popolo Malinke del Mali, Senegal e Gambia. È composto da una struttura di base in fasce di legno o in bambù in cui, sotto, vengono posizionate orizzontalmente le zucche (calebasse) che fungono da cassa di risonanza, il cui numero può variare ma che generalmente si aggira intorno alla dozzina; a volte le zucche vengono forate e rivestite di sottili membrane che una volte erano costituite da
tele di ragno o ali di pipistrello ma attualmente viene moto utilizzata la carta per rivestire il tabacco delle sigarette o da una sottile pellicola di plastica. Al di sopra delle zucche si trovano i tasti, fatti di legno, di forma rettangolare posizionati in maniera decrescente. Quelli più piccoli producono i suoni più acuti. Il numero di tasti varia in base alla dimensione dello strumento. Il balafon diatonico presenta tasti più spessi ma meno larghi proprio perché deve fornire note più alte.
In appendice, si è accennato ai “griot”. Varrebbe la pena dedicare qualche riga d’approfondimento a questo personaggio, che nella tradizione orale, con gli anziani dei villaggi, potrebbe essere considerato come una biblioteca vivente. Prevalentemente di sesso maschile, ma uomo o donna che sia poco importa, è una figura presente in tutta l’Africa occidentale. Il termine “griot” starebbe a significare “signore della parola” . La sua immancabile presenza a funerali, matrimoni, cerimonie di sacrificio, riti di circoncisione, fa si che la testimonianza dell’accaduto possa continuare a vivere. È un cantastorie, un “libro vivente” dove vengono appuntati fatti e cronache di storia vissuta. Elemento indispensabile nella cultura locale, passa da villaggio a villaggio raccontando e tramandando avvenimenti di fatti accaduti realmente o racconti
leggendari.

MUSICA: Mali - Musica Arte e non solo: di Marino Nebuloni

Premessa:
L’africa è la patria della tradizione orale, quell’insieme di saperi che presentano una modalità di trasmissione diretta, senza l’uso di supporti scritti. Questo genere di sapere si traduce in molte forme differenti di narrazione e performance ed è particolarmente diffuso tra le popolazioni che vivono nell'Africa sub-sahariana, tanto da riferirsi ad esse come a "civiltà della parola". Il veicolo di comunicazione è dunque interamente ed esclusivamente dato dalla voce. I saperi relativi alla
tradizione orale africana possono appartenere ad ambiti molto diversi: possono esserci tradizioni orali storiche, mitologiche, musicali, religiose, politiche, giuridiche, letterarie.
Come sostiene il famoso intellettuale maliano Amadou Hampâté Bâ (1900-1991): "le tradizioni orali sono gli archivi letterari, storici e scientifici dell'Africa".
Amadou Hampâté Bâ (Bandiagara, 1900 – Abidjan, 15 maggio 1991) è stato uno scrittore, filosofo e antropologo maliano - Figlio di Hampâté Bâ e di Kadidja Pâté Poullo Diallo, egli apparteneva ad una famiglia nobile fulbe. Dopo la morte di suo padre, sarà adottato dal secondo marito di sua madre e iniziato ai saperi e alle pratiche del suo popolo. Frequentò la scuola coranica di Tierno Bokar, un membro della confraternita tidjaniyya ed in seguito occupò diversi ruoli all'interno dell'amministrazione coloniale francese, prima a Bandiagara, poi a Djenné. In seguito a numerosi scontri con gli amministratori, si spostò frequentemente nella regione allora chiamata Alto Volta (oggi Burkina Faso). Tra il 1922 e il 1932, occupò diversi incarichi in svariate città burkinabé e nel 1933, ottenne un congedo di 6 mesi che trascorse dal suo maestro Tierno Bokar. Nel 1942, ottenne un incarico dall’Institut Français d’Afrique Noire (IFAN) di Dakar grazie al suo direttore, il professor Théodore Monod. In questo contesto, poté effettuare importanti ricerche sulle tradizioni orali. Nel 1951, ottenne una borsa di studio dall'Unesco che gli
permise di svolgere un soggiorno di studi a Parigi e di conoscere i maggiori africanisti dell'epoca, come Marcel Griaule. Nel 1960, in seguito all'indipendenza del Mali, fondò l'Istituto di Scienze umane a Bamako e rappresentò il suo paese alla conferenza generale dell'Unesco. Nel 1962 venne nominato membro esecutivo dell'Unesco e nel 1966 partecipò all'eleborazione di un sistema unificato per la trascrizione delle lingue africane. Nel 1970, Hampate Ba decise di lasciare i suoi
incarichi ufficiali e diplomatici per dedicarsi interamente ad un progetto di ricerca e d'archiviazione del patrimonio orale dell'Africa occidentale, consacrandosi perciò ad un lavoro di ricerca e di scrittura: gli ultimi anni della sua vita, trascorsi ad Abidjan, lo porteranno alla scrittura di due romanzi autobiografici, Amkoullel, il bambino fulbe e Signorsì, comandante, pubblicati postumi, nel 1991.

La MUSICA
I suoni Malinkè

La armonie tradizionali Maliane si sono sviluppate grazie all’uso di strumenti “classici” come il Balafon, la Korà ed il doundoun. In linea generale, narrano trame epiche e canti di lode.
Questi motivi vengono espressi prevalentemente dai “Djeli” (Griot) appartenenti al gruppo etnico Malinkè (Mandingue). L’arte dei djeli viene trasmessa di padre in figlio, ed i musicisti appartengono a poche famiglie ben conosciute: Kouyate, Diabate, Sissoko, Kone, Kamissoko, Sacko Koite, Tounkara, Konate, i Kanoute, i Kante.
I maninka non appartenenti a queste famiglie non possono definirsi djeli e non possono svolgere il loro ruolo sociale.
Esistono comunque artisti che non rientrano nel “rango nobiliare” della musica tradizionale, che producono ottima musica libera da vincoli tradizionali, ma non saranno mai coinvolti nel circuito dei concerti privati e di cerimonie insite nella società maliana, che assicurano ai djeli un lavoro costante e un conseguente introito economico sicuro. Un esempio di “djeli libero” lo troviamo in Salif Keita o Habib Koite. I malinke si distinguono in tre sottogruppi dialettali, ciascuno con la propria tradizione musicale.
La musica “classica” del Djeli che si identifica quindi con la tradizione dei Maninka abitanti nel Mali occidentale, si avvale di scale armoniche “eptatoniche” unite al grande repertorio epico proveniente da siti storici come Kita e Kela, sono interpretati da nomi illustri come Kandia Kouyate, Amy Koita, Kassemady Diabate. (brani di riferimento: Sundjata, Kulandjan, Mali Sadjo)
A differenza degli altri stili, la musica dei djeli malinke che aderisce in maniera ferrea alle regole ed ai vincoli della tradizione, tende a mantenere la sua specificità di musica nobile, di corte, alla quale è affidata la rilevante responsabilità di custodire la cultura del passato. A tal proposito, esisterebbe un certo snobbismo nei confronti degli altri musicisti e generi musicali.

I ritmi Bambarà
Il gruppo etnico più diffuso nel Mali, con centro geografico a Segou, i Bambara invece producono una musicalità che fluisce incessantemente dalle numerosissime radioline sparse in ogni luogo, dal taxi alla bottega alimentare. Questa melodia si differenzia da quella maninka innanzitutto perché si basa su una scala armonica pentatonica, ed i suoi ritmi sono influenzati dalla sonorità del nord, di matrice Songhai, con elementi arabi. Nel canto invece, la voce ricorre a forme “antifonali” (con più linee melodiche del tutto indipendenti l’una dall’altra, sia dal punto di vista
melodico che ritmico), basate su dialoghi tra solisti e cori. Lo strumento prevalente è lo n’goni, mentre è raro ascoltare il suono della korà.
Il suono Bambarà differisce inoltre da quella Djeli a causa delle sue radici. La musicalità derivante dalla casta di cacciatori, che nasce da antichi rituali propiziatori. Musicalità dunque di struttura molto semplice, con canti antifonali esclusivamente maschili accompagnati da percussioni.

La sonorità Fulani
L’etnia nomade dei Fulani (Peul), diffusa in tutta l’area sahelica, ha invece una sua tradizione musicale specifica, caratterizzata da strumenti musicali facilmente trasportabili, come il flauto o il violino tradizionale ad una corda, o utensili adibiti anche ad altri usi, come i recipienti di zucca, o calabasse. Accade spesso che musicisti peul, soprattutto flautisti, vengano inseriti in ensable nelle tradizionali espressioni musicali e culturali, appartenenti ad altre etnie.

Influenza araba
Nel campo musicale, altre tradizioni etniche da rammentare sono quella Dogon dell’area nord orientale, mentre spingendoci sempre più verso nord, si fanno decisamente sentire quelle delle etnie del deserto, i Songhai e i Tamashek, dove viene riscontrata una tradizione musicale con forte influenza araba.
Artisti come Ali Farka Toure o i Tinariwen, con il loro “desert blues”, hanno contribuito a trasmettere anche oltre confine le forme ritmiche tradizionali del deserto, trasportando le stesse sulle corde di una chitarra elettrica.

Armonie Wassoulou
Una particolare nota di attenzioneva data ad una tradizione musicale importante, che nasce nella regione di Wassoulou a cavallo tra Mali e Guinea. La musica del Wassoulou, non è legata a famiglie djeli, usa la scala pentatonica e il canto è affidato soprattutto alle donne, accompagnate da un coro femminile. La ritmica è potente ed è basata soprattutto sul djembe, sul karignan e sui flé, strumenti di zucche e conchiglie, mentre i testi delle canzoni sono spesso di critica costruttiva
alla società tradizionale.

Artisti di riferimento:
Ali Farka Toure, Baba Sissoku Oumou Sangare, Rokia Traore, Nahawa Doumbia, Lobi Traore, Neba Solo, Abdulaye Diabate, e Issa Bagayogo,


DA SAPERE:
MARTIN SCORSESE ha ricercato e trasportato in un film, il percorso di scoperta delle radici africane del blues. «Dal Mali al Mississippi », un viaggio che si conclude ai margini del deserto, il
Ténéré.
Dall’anno 2001, in pieno deserto, si tiene ogni metà gennaio un festival, nell’oasi di Essekrane a nord di Tombouctou. È una manifestazione che si svolge nella terra dei Kel Tamashek, «quelli che parlano tamashek», i Tuareg. Un nome che significa «abbandonati da dio» e che loro, giustamente, respingono.
Sulle sabbie a nord del fiume Niger è avvenuta una fusione tra la musica contemporanea e la poesia tradizionale Tamashek. I suoni Maliani, espressi da Selif Keita e Ali Farka Toure si amalgamano a versi poetici colmi di struggente nostalgia per la vita libera negli infiniti spazi desertici. Una denuncia su un futuro che avrebbe potuto esserci ed invece non c’è stato.
Risulta un incontro quasi leggendaro con il gruppo Tamashek più rappresentativo, i Tinariwen.
La storia dice che:
Il padre del fondatore del gruppo, Ibrahim, è fuggito in Algeria portandolo sulle spalle, prima di essere ucciso dai soldati maliani nel 1963, ai tempi della prima rivolta tamashek. Ibrahim iniziò costruendo da solo delle chitarre artigianali. L’incontro con le chitarre elettriche vere e proprie avvenne nei campi in Libia dove il colonnello Gheddafi addestrava i tamashek. La prima formazione dei Tinariwen è nata lì. Ibrahim faceva parte del Movimento popolare dell’Azawad, che combatteva contro il governo del Mali per l’emancipazione delle regioni settentrionali. Assieme a lui c’erano i primi membri del gruppo: Kheddou, Enteyedden e Mohammed. Le chitarre furono comprate dal capo dell’Mpa, Iyad Ag Ghali. La leggenda dice ancora che nella scaramuccia che fece scattare la seconda ribellione tamashek, a Menaka, un avamposto ell’esercito maliano vicino alla frontiera con il Niger, il 30 giugno 1990, Kheddou partìÏ all’attacco, kalashnikov in mano e chitarra elettrica sulla schiena.
Nel 1992, dopo l’accordo di pace, i Tinariwen hanno lasciato i kalashnikov, ma tenuto le chitarre diventate la cifra sonora dei loro due dischi «The Radio Tisdas sessions» e il recente Amassakoul», un’implosione di malinconia, misticismo e passione per le sorti del proprio popolo. Anche il deserto, che secondo un proverbio tamashek è stato creato da Dio perché gli uomini potessero trovare la propria anima, è assediato dalla modernità. Una modernità subìta, che sfilaccia i legami sociali, forse irrimediabilmente. Ma che offre anche, in angoli insperati, le risorse
per affidare la poesia di un popolo del deserto a una musica profonda e toccante, capace di viaggiare e farsi ascoltare e amare ovunque.............................................

Un ringraziamento particolare all'amico G.M.Rampelli di http://www.tpafrica.it/ per la gentile concessione di alcuni estratti di testo che sono stati utili per la creazione del post Mali- MUSICA, ARTE E NON SOLO.... e la sua divulgazione